A Lecce e nel Salento. I luoghi e i sapori di Mine vaganti.

Prima è l’antica masseria fortificata di Ceppano, nella campagna a sud di Otranto, nella valle di Sant’Emiliano. Poi è la campagna: con i muretti a secco e la gariga, qualche ulivo e sull’orizzonte il mare. .Poi la Baia dei Turchi sull’Adriatico e Lido Pizzo sullo Ionio, vicino Gallipoli.  Poi Lecce. E qui ci fermiamo. Perchè poche città al mondo sono nate (voglio dire sono state progettate e costruite) per funzionare quasi esclusivamente da quinta teatrale. Luoghi pensati come scenografie in funzione di uno spettavolo. E così anche vissute dai suoi abitanti, che per tale predisposizione alla teatralizzazione e al gioco del manifestar gloria e dell’apparire, nello slang del luogo furono detti ‘ufani‘  (dall’antico greco faino ovvero apparire). L’impianto scenografico su cui la città fu pensata e costruita doveva essere funzionale allo spettacolo delle grandi processioni. Erano questi i grandi eventi di una volta, ai tempi  della Controriforma cattoiica, della grande arte barocca, della ville -église. Quando Lecce, città-chiesa, era anche la seconda città del Regno di Napoli e anche da qui  e dalla sua popolosa piccola nobiltà neo-feudale nasceva e si ingigantiva la sua ‘ufaneria’. Un carattere, una sorta di DNA passato dai nobili ai nobilmente viventi, borghesi piccoli industriali e professionisti. Una storia raccontata nei libri di storia. Non la invento certo io. Ci voleva un regista bravo e sensibile come Ferzan Ozpetek per trasferire nel cinema questo patrimonio estetico e antropologico, sino a farne quel grazioso capolavoro che è Mine vaganti. Sino a fare, di quel patrimonio, la materia stessa da cui nasce una nuova visione viva e aggiornata della città, da ville-église a città del cinema per antomasia. Gli apparati barocchi rimangono tutti quelli già noti e la regia senza ufaneria se ne compiace trovandovi, già pronte, tutte le scene adatte alla sua storia.  Storia cucita su relazioni di ‘intimità’, come di intimità sono fatte queste strade: rimaste piccole e strette, senza grandi piazze e solo con piccoli slarghi, dalle prospettive tutte scorciate e dinamiche, impossiibli da inquadrare a distanza, frantumate in tanti punti di vista, tanti quanti sono gli occhi che la guardano. Perciò, proprio come nelle storie che si narrano, contano  e si rendono visibili, al posto dell’insieme, i singoli dettagli. Tutti bellissimi. Mensole, balconi, stemmi, finestre e portoni, angoli di strade e scorci di palazzi. Il percorso è quello classico e usuale. Sono gli occhi – e i racconti – che ora sono cambiati. Per percorrere la Lecce di Ozpetek  si passeggia lungo via Palmieri, via Umberto i  e il vecchio corso della città storica osservando i volti della gente  e i dettagli scolpiti sulle facciate delle chiese e dei palazzi. Si entra nei cortili. Si rilega il presente al passato. Perchè i luoghi sono una condizione dell’anima. Per i più curiosi  e ‘fanatici’, i luoghi in cui fermarsi? Il bar sotto i portici in piazza Sant’Oronzo, l’antica piazza dei mercanti  (per risentire il fragore della risata che colpisce le paure e il conformismo dei padri- in scena Riccardo Scamarcio nel ruolo del figlio ed Ennio Fantaschini in quello del padre); la merceria all’angolo  tra via Paladini e corso Vuttorio Emanuele, dove Lunetta Savino affronta le maldicenze delle signore di città colpendo di fioretto con altre dicerie e altri pettegolezzi in una bellissima scena che mette a nudo il conformismo al femminile in un piccolo mondo piccolo-borghese e provinciale. Poi ci sono le pasticcerie. Per i sognatori e per le mine vaganti. Preferisco quelle storiche a quelle dei neo-arrivati. Da Franchini (in via San Lazzaro) mi inebrio di dolci alla ricotta e alla crema e di paste di mandorle, di cassatine, di bignè, di choux di babà, di spumette  e di bocche di dama. Ora ho in bocca il sapore dolce, esuberante e insieme melanconico, in alcuni momenti  (quando esagero) anche un po’ stucchevole, di Mine vaganti. Muoio di piacere. Mi sento anch’io una sposa che segue il proprio funerale. Alla fine mi sposto in un altro articolo per scoprire il sapore più segreto e più intimo di Mine vaganti.

 Lecce l- La ville-Èglise - in Quoquo. La gola come ipertesto -design Giancarlo Moscara©
Lecce l- La ville-Èglise – in “Quoquo. La gola come ipertesto” -design Giancarlo Moscara©

 

 

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