Cul- de- sac. Da Ratatouille a Estasi culinarie. Io mangio sentimentale

Riflessioni culinarie: io mangio sentimentale. Rientro anch’io nella categoria di quelli che mangiano differente? Ovvero in una delle tante categorie di mangiatori da tavola o da strada per ognuna delle quali esistono specifiche linee di prodotti collegati ad altrettanit stili di vita, oppure io sono fuori da ogni categoria? E se invece posso identificarmi in una categoria, questa sarà di tipo generalista o di nicchia e individuerà, sì o no, un piccolo segmento di target? Insomma sono omologata o sono diversa? E se sono diversa a quale categoria di diversi sono omologata?

Percorsi per chi mangia sentimentale. Comincerei da Ratatouille: per una serie di motivi, il primo dei quali è che io adoro le favole. C’era dunque una volta un critico gastronomico sotto la cui penna tremavano i ristoranti di Francia.   E c’era anche qualcuno a Parigi che aveva messo in giro la voce che tutti possono cucinare.

Ma questo articolo potrebbe cominciare anche così:  All’inizio tutto dipende dalle neuroscienze. Che, un po’ in ritardo su Proust e certo con metodologie diverse da quelle dell’intuizione e delle immagini letterarie, ci hanno spiegato molto bene il meraviglioso fenomeno della “madelaine”. L’esperienza della madelaine è una pratica gustativa che ancora mi capita di sperimentare, anzi direi che me le cerco queste situazioni.

 

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Quello che né Proust né le neuroscienze ci hanno detto è che a un certo punto, passando da una fase storica a un’altra, tutti quei sapori e odori che ti costruiscono “la memoria” poi da una generazione ad un’altra cambiano, cambiando di conseguenza la percezione che ognuno ha del “sapore” e, cosa forse ancora più importante, cambiando il giudizio sul ‘gusto’ e, cosa ancora più importante, il senso del piacere.

Per spiegarmi meglio mi aiuto con un film cult e con un romanzo quasi più cult del film- Ed è passando dal film al libro che posso registrare questi cambiamenti.. Dimenticavo: il film è Ratatoulle, il romanzo si intitola “Estasi culinarie” ed è, come si sa, di Muriel Barbery

Cul- de- sac. Da Ratatouille a Estasi culinarie

In entrambe le situazioni c’è un critico gastronomico tra i protagonisti. In entrambi i casi è proprio lui, il critico gastronomico, che è alla ricerca del sapore perduto, del suo ‘archetipo’ alimentare e di gusto . Allora cosa cambia? Cosa c’è di diverso? Di diverso tra il film e il libro c’è proprio il tipo di archetipo: nel primo caso è una tradizionale e matriarcale ratatouille (come dire, per noi qui nell’Italia del Sud,una meravigliosa sublime caponata ricca di un bouquet di profumi sapientemente passati dall’orto alla fiamma); nel secondo caso il sapore archetipo che si desidera ritrovare è del tipo stupide malsane nauseabonde bignoline zuccherate di produzione industriale, diventate gustose alla memoria e desiderabili al palato solo perché mangiate in quel preciso momento di una volta, quando si era di un’ altra età e allora gli archetipi si stavano formando, prendevano posto in un luogo del corpo e della mente e lì si depositavano aspettando di stupirci quando saremmo stati sul punto di morire o comunque, senza proprio dover morire così presto! Bastava che diventassimo grandi .

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Ciao Marx!

Avete perso il filo? Anch’io!. Ah già! Il fatto è che riguardando questo film e rileggendo questo libro poi io mi chiedo: quali ‘madelaine’ potranno e sapranno costruire le ‘merci’ che mangiamo oggi, quei biscotti Brambilla per esempio che nulla hanno a che vedere con i biscotti di casa d’antan o di un vero forno a legna! Quelle merendine prefabbricate che hanno sostituito la meravigliosa fetta di pane ricotta e miele che era la merenda di una volta. Ma anche pane burro e zucchero, che meraviglia! Allora mi dico: io mangio sentimentale. Che non significa o non significa solo desiderare pane ricotta e miele (chè poi sarebbe un mangiare secondo la dieta ideale di Platone). Piuttosto significa cercare il sapore non solo nella memoria, ma anche in un film o in un libro e comunque non solo nel piatto. E poi mi chiedo: non è per caso che tutte queste tribù di diversi e differenti sono i sopravvissuti di questo gioco al massacro, che andando giù forte deve aver fatto fuori tutti gli archetipi…  E così lasciato senza archetipi poi uno si sente diverso?- Sarà così, visto che come dicono il mondo è diventato piatto e appartiene solo al presente della merce, luogo che ha preso il posto dell’anima. Infatti oggi si dice: l’anima della merce. Ciao Marx! (mi riferisco ai fratelli Marx, naturalmente)!

Il mondo è (un) piatto? Quanto al mondo che è diventato piatto, deve essere proprio vero: visto che, almeno in una certa parte del mondo, tutti sembra non facciano altro che mettersi a tavola davanti ad un piatto, in un modo o nell’altro. Perchè poi, nelle differenze , se guardi bene alla fine siamo tutti uguali!

tittii in un ritratto alla Vermeer

Perciò se mi chiedi ma tu come mangi allora ti rispondo: “io mangio sentimentale”. E dico così solo per dire che mangio con l’anima. E se mi chiedi cosa è quest’anima, ti rispondo che sono tutte le storie che sono entrate dentro di me perché io le ho lasciate entrare scegliendole con un certo criterio perchè mi consentono di respirare.

Poi se mi chiedi anche perché ho cominciato da Proust piuttosto che da Brillalt Savarin: beh, forse è una tappa più ‘moderna’ nella storia della costruzione della categoria del ‘gusto’ e certamente, a mio modo di vedere, è più ‘sentimentale’.

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Ed ora ciao a tutti, uguali e diversi. Sentimentali e pragmatici. Vi lascio per continuare una conversazione con Antoine Ego che, seduto qui al tavolo accanto al mio, in questo famoso ristorante di Parigi, sta gustando la sua ‘ratatouille’ e, non ne sono proprio sicura, ma forse sembra un po’ condividere i miei pensieri ‘sentimentali’. Non osiamo dirlo – e neppure ne siamo proprio del tutto convinti – ma entrambi stiamo pensando: “non è che forse, nel mondo globalizzato, è la tradizione che fa l’avanguardia?”.

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Parigi- 2007 – dopo una sosta nel ristorante di Auguste Gusteau

dove ho potuto conoscere dal vivo, in cartone e ossa, un vero critico gastronomico e con lui, Antonio Ego,   ho potuto discutere anche di cucine comparate e così tornata qui dove abito, con una certa dose di gusto, di ironia e di anima, mi sono concessa il lusso di una meravigliosa caponata. Quanto è sentimentale questa caponata me lo direte voi, ora che sarete seduti con me a tavola. L’invito non è rivolto ai critici gastronomici, ma solo ai critici d’arte.

 

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